Michele Zanin: giocare qui è molto più che sport

a cura di Claudio

Ciò che colpisce in Michele Zanin, 53enne pluripremiato allenatore, coach della U19 Volley Treviso e direttore tecnico della società, è che dopo tutti questi anni («Ah, davvero, non mi far ricordare, sarà dall’89-90») s’inorgoglisce e s’intenerisce parlando dei ragazzi di oggi e di ieri. «Vedo il gruppo e l’orgoglio della maglia: sai che i ragazzi postano sui social con l’hastag “secondafamiglia”? Ecco, è difficile che potesse succedere negli anni passati (quando era Sisley, ndr) sebbene anche chi non è più con noi sia sempre affezionato a questa società». Zanin, sposato con Claudia, tre figli (Sara e Laura 21 e 17 e Alberto 13 anni, pallavolista) parla dei leoni del Volley Treviso come fossero suoi e non teme di usare parole dense: «Qui c’è un sentimento di legame affettivo, una parola forte: ci sono i valori della piccola società e gli obiettivi di una grande; l’attenzione e la cura per gli atleti, e il rapporto con le famiglie. Ma soprattutto l’esigenza di lavorare sodo per ottenere obiettivi importanti» che poi sono relativi, perché Zanin non teme di affermare che «la gioia è quando vinci anche quando non hai tutti campioni», grazie alla forza di volontà e all’impegno.

Nell’identikit dell’atleta perfetto infatti c’è un mix di metodicità, disponibilità, impegno e struttura fisica; «Poi anche il talento, ma ne ho visti tanti che non sapevano usarlo o non erano strutturati, e non vanno da nessuna parte. Quando dico disponibilità intendo nei confronti del gruppo. Questo vuol dire tenacia, il necessario impegno non solo per se stessi. Senza questo non si cresce». E la maturazione, sportiva e personale degli atleti, e di tutti quelli che contribuiscono alle sorti della società, è un faro nei discorsi di Zanin: «Perché il talento te lo dà la genetica, o Dio; l’impegno dipende solo da te, si può imparare ascoltando chi ti guida, e ci si può lavorare molto sopra». Ecco perché nell’album degli atleti ideali non ci sono abbastanza pagine per il coach Zanin: «Faccio fatica a dirti un nome solo, ricordo con affetto tanti atleti, alcuni diventati allenatorio altri che non sono diventati famosi: tutta gente che ha dato e dà il 110%. Mauro Baldassin, Dante Boninfante, Marco Zingaro, Nedialko Deltchev, mi vengono subito in mente. Luca Tencati, o Max Di Franco che ha anche scritto un libro sulla sua storia ( “Il bambino che sogna”, di cui è stato girato un cortometraggio e presto potrebbe diventare  un film) era arrivato qui quasi deperito, due metri per 72 kg, ma con una volontà tale che in un anno è arrivato alle selezioni e  poi capitano della nazionale juniores». E anche adesso, pensando ai più recenti Anzani e Beretta: «Certo ci sentiamo, mi scrivono: Simone l’ho maltrattato tanto, ma con affetto e Tommy, beh è uno che ha cominciato tardi con la pallavolo, prima faceva sci – ci pensi? – era un grizzly, un bestione, ma in un anno è diventato il miglior centrale di categoria». 

Pensando a loro e agli atleti di domani Zanin riflette sul cambiamento, innegabile: «Non avendo la serie A, come punto di riferimento, manca uno stimolo grosso per i ragazzi: ora noi siamo una scuola di pallavolo che dà strumenti per giocare anche in serie A, ma è migliorato tutto. Noi, siamo migliorati: c’è più attenzione alle famiglie e al territorio, diverso da quello di prima perché cerchiamo relazioni più forti con il tessuto produttivo trevigiano. E poi ci sono i tecnici, i preparatori, i dirigenti, i fisioterapisti e i medici: qui i genitori vedono la qualità, quel qualcosa in più che fa ancora la differenza, oltre alla tradizione, e quella non si dimentica. E i risultati parlano; si valuta soprattutto il lavoro. Guardiamo l’anno scorso, ottimo: ma non ci fermiamo, le vittorie sono importanti ma anche la maturazione, soprattutto per chi ancora deve esprimere il meglio» e Zanin  non si riferisce solo agli atleti, ma a tutta la “seconda famiglia” del Volley Treviso: «Non sono d’accordo che vincere sia la cosa più importante: ci sono valori e regole per conseguire la vittoria, rispettando i giocatori, il loro e il nostro futuro».

Simona Mantovanini

 

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